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“The Crow – Il corvo” ha come protagonisti Bill Skarsgård, FKA twigs e Danny Huston, ed è l’adattamento cinematografico del fumetto “Il corvo”, di James O’Barr. Si tratta di un remake in chiave moderna del film cult “Il corvo – The Crow”, del 1994 (1994) e il regista Rupert Sanders ci garantisce che sarà una versione che si colpirà al cuore e allo stomaco. Noi l’abbiamo visto e, purtroppo, non siamo così d’accordo con lui. Però, godetevi la recensione, come al solito senza spoiler, e poi fateci sapere cosa ne pensate.

LA TRAMA

Eric e Shelly, tra amore eterno e vendetta

Eric Draven (Skarsgård) e Shelly Webster (FKA twigs), legati da un amore profondo, vengono brutalmente uccisi, da una banda di criminali. Di fronte alla possibilità di salvare Shelly, il suo unico vero amore, sacrificando sé stesso, Eric intraprende una vendetta feroce e senza pietà contro i loro assassini, viaggiando attraverso il mondo dei vivi e dei morti determinato a rimettere a posto le cose.

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INFO & CAST
Anno 2024
Durata 111 min
Regia Rupert Sanders

Cast
Bill Skarsgard: Eric Draven
FKA twigs: Shelly
Danny Hustin: Vincent Roeg
Josette Simon: Sophia
Laura Birn: Marian

LA RECENSIONE

Tanto rumore per nulla

Prima di tutto, facciamo un lungo applauso a Rupert Sanders per aver almeno avuto il coraggio di portare sul grande schermo il remake/reboot di uno dei cult degli anni ’90 che, ancora oggi, ci fa piangere, sognare ed emozionare. Se ben ricordate, però, “Il corvo” del 1994, diretto da Alex Proyas, inizialmente non ebbe tutto questo successo. Solo in seguito è diventato un cult, inevitabilmente legato alla morte sul set del suo protagonista, Brandon Lee, a soli 28 anni e quindi alle scene rimaste incomplete e gestite tramite una controfigura e a ricostruzioni in CGI. Per questa nuova versione, Sanders ha detto che voleva dare una sua impronta e che già l’aspetto del suo Eric non è tratto dalla serie di fumetti di James O’Barr, né dal personaggio di Brandon Lee. Il regista si è basato principalmente sul potenziale del protagonista Bill Skarsgård: “Penso che la bellezza di Bill sia inquietante, e mentre si trasforma attraverso la sua perdita diventa qualcosa che nemmeno lui può controllare. Spero che le persone che hanno 19 anni oggi lo guardino e dicano: quel ragazzo siamo noi.” Ora, è vero che Skarsgard è il pilastro che regge l’intero progetto, ma la sceneggiatura e l’intera impalcatura scenica fanno acqua da tutte le parti. Tanto rumore per nulla.

Anima, sofferenza, angoscia ed empatia non pervenute

Il successo del primo film era dato dall’empatia, dal magnetismo, dall’anima e dalla sofferenza che trasudavano da ogni fotogramma. L’Eric Draven di Brandon Lee resta intoccabile e pensare di riportarlo in vita al cinema doveva rappresentare proprio un totale cambio di registro, qualcosa di “altro”, che Sanders ha tentato di affidare a Skarsgård, ma l’attore, seppur bravissimo, non riesce a trasmetterci quel carico di angoscia, devastazione interiore e rabbia vendicativa che aveva Lee nel primo film. Sanders si appoggia alla fotografia grigiastra di Steve Annis, alle musiche di Volker Bertelmann e ai costumi di Kurt and Bart per mettere su un puro spettacolo visivo, confuso, rumoroso e dal montaggio atroce che ci colpisce come se fosse un vecchio videoclip romantic-rock dei Goo Goo Dolls, ma non come remake di uno dei lungometraggi da non toccare. La prima parte, quando i due sfortunati innamorati si conoscono nella clinica psichiatrica (a proposito, scordatevi qualsiasi tipo di spiegazione, flashback o altro, non si sa alla fine perché sono capitati lì) potrebbe anche andar bene sul piano delle emozioni (e questa parte manca totalmente nel primo film) però poi Sanders vira verso un mondo ultraterreno decadente, moderno (?) e senza un filo logico, trascinato lentamente verso il classico finale ad effetto che sembra tratto da un qualsiasi film d’azione dei primi anni Duemila.

IN CONCLUSIONE

Neanche i comprimari FKA twigs (Shelly) e i cattivi Danny Huston (Vincent Roeg) e Laura Birn (Marian) riescono a dare spessore alla storia, rivelandosi poco più che appendici o spettatori della “grandezza” di Skarsgård, unica stella guidata dal faro della vendetta e dall’amore ossessivo e romanticissimo (atten-zione, effetto “Twilight” dietro l’angolo) che però per 111 minuti non si possono vedere o, più che altro, subire. Cosa salviamo? La recitazione di Skarsgård, il trucco di Deb Kenton e Daniel Parker e i costumi di Kurt and Bart. Per il resto, speriamo che non si pensi ad un sequel perché tentare e avere coraggio è un conto, però perseverare sarebbe diabolico.

Il voto di Cinefily

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