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“Queer”, di Luca Guadagnino, è nelle nostra sale dal 17 aprile. La pellicola è l’adattamento cinematografico del romanzo “Checca”, di William S. Burroughs ed è stato presentato in anteprima mondiale il 3 settembre 2024, in concorso alla 81ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, poi proiettato nel corso del Toronto International Film Festival e del New York Film Festival. Per la sua performance, Daniel Craig è stato candidato ai Golden Globe come Miglior attore in un film drammatico e, nel film, è veramente fantastico. Noi, come al solito, l’abbiamo visto per voi e, prima di andare al cinema, leggete la nostra recensione senza spoiler.

LA TRAMA

Amore e ossessione a Città del Messico

È il 1950. William Lee (Daniel Craig) è un americano sulla soglia dei quaranta espatriato a Città del Messico. Passa le sue giornate quasi del tutto da solo, se si escludono le poche relazioni con gli altri membri della piccola comunità americana. L’incontro con Eugene Allerton (Drew Starkey), un giovane studente appena arrivato in città, lo illude per la prima volta della possibilità di stabilire finalmente una connessione intima con qualcuno.

INFO & CAST
Anno 2024
Durata 135 min
Regia Luca Guadagnino

Cast
Daniel Craig: William Lee
Drew Starkey: Eugene Allerton
Jason Schwartzman: Joe
Lesley Manville: Dottoressa Cotter
Henry Zaga: Winston Moor

LA RECENSIONE

Il desiderio e la ricerca metafisica di Lee

Non è stato facile per Luca Guadagnino, dopo i successo di “Chiamami col tuo nome” e “Challengers”, portare sul grande schermo il meraviglioso libro di William S. Burroughs (terribilmente tradotto in italiano col titolo “Checca”, ma vabbè..) perché le tematiche sono molto forti e sempre oggetti di mille polemiche. Il nostro regista, però, ha potuto contare su una sceneggiatura di ferro, scritta da Justin Kuritzkes e sui due attori protagonisti – Craig e Starkey – semplicemente fenomenali. La storia di Lee ci prende dal primo minuto e ci travolge in un turbine di ossessione e desiderio, di quest’uomo che quasi si consuma per la passione e che mette su se stesso in qualsiasi cosa, dal sentimento alla ricerca di quell’esperienza quasi metafisica che potrebbe dare una svolta alla sua vita. Lee è consapevole e anche nauseato dalle sue inclinazioni ma si lascia andare e le vive appieno, incanalandole verso un giovane che lo vuole e lo respinge allo stesso tempo. Lo stesso Guadagnino ha detto che Queer “È un film sull’angoscia della relazione con l’altro, sul terrore di ciò che può essere. Ed è una storia d’amore in cui in fondo l’aspetto del sesso è molto poco centrale rispetto a un sentimento che esorbita, che chiede a chi lo vive di mettersi in gioco.”

Una storia anticonvenzionale, onirica e surreale

“Queer” è anticonvenzionale, surreale e non lineare e anche le scene di sesso – accompagnare da scelte musicali fenomenali, opera di Trent Reznor e Atticus Ross – sono piene di magnetismo, sensualità ma allo stesso tempo oniriche, proprio come le opere di Burroughs che fondono sempre poesia, arte e vita in un equilibrio perfetto. Oltre alla sua dipendenza dalle droghe e dal sesso, Lee si muove in una caldissima Città del Messico (ricostruita interamente a Cinecittà) come se si trovasse in un Limbo, preso dalle sue allucinazioni e dalla ricerca dell’ayahuasca (all’americana, Yage), cioè una sorta di radice allucinogena che, se assunta, può donare il potere della telepatia. Questa seconda parte porterà i protagonisti anche ad avventurarsi nella giungla, smorzando un po’ la tensione della prima parte e rendendo la pellicola più ritmata.

Un mosaico di emozioni e una crew d'eccezione

La fotografia rossastra di Sayomphu Mukdiphrom da il senso di sudore, angoscia e desiderio di Lee e, grazie al montaggio sublime di Marco Costa, tutti i pezzi delle sue allucinazioni sono incastrati alla perfezione con la realtà, in un mosaico di emozioni che ci accompagnerà per tutti i 135 minuti di durata del film. Una menzione speciale va fatta anche a Jonathan Anderson e ai suoi costumi meravigliosi, che rispettano al 100% quelli del libro di Borroughs e le scenografie di Stefano Baisi che ha incredibilmente ricostruito una Città del Messico talmente credibile da fare impressione. Ma d’altronde, Gaudagnino ama circondarsi degli stessi collaboratori perché loro sanno cosa si “aggira” nella sua mente solo dallo sguardo, come se fossero una grande famiglia. E il risultato è eccezionale.

Il voto di Cinefily

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