Dopo il Leone d’Argento – Premio speciale per la regia al 78esimo Festival di Venezia, Jane Campion ha portato a casa anche due Golden Globe (Miglior film drammatico e Miglior regista) e ben 12 nomination ai prossimi Oscar per il suo acclamatissimo “Il Potere del Cane”. La regista neozelandese è nota principalmente per il bellissimo “Lezioni di piano”(1993), vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes mentre l’ultima pellicola risale al 2009 ed è “Bright Star”, biopic sul poeta britannico John Keats. Ecco la recensione di Il Potere del Cane, affascinante film di Jane Campion.
LA TRAMA
Scontro tra fratelli tra le montagne del Montana
“Il potere del cane” è uscito lo scorso 1° dicembre 2021 su Netflix e ha subito colpito in maniera positiva pubblico e critica. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Savage del 1967 e ci riporta al 1925, tra le meravigliose praterie del Montana. Proprio qui è dove vivono i fratelli George (Jesse Plemons) e Phil (Benedict Cumberbatch) Burbank. I due – molto diversi caratterialmente – sono proprietari di un ranch e le loro vite sembrano scorrere felicemente, fino a quando George, il più “cortese” dei due, sposa la vedova Rose (Kirsten Dunst), che si trasferisce nel ranch col figlio Peter (Kodi Smit-McPhee). Sarà a quel punto che il burbero Phil inizierà a rendergli la vita impossibile, provocandoli e vessandoli in ogni modo.
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Durata 126 min
Regia Jane Campion
Cast
Benedict Cumberbatch: Phil Burbank
Kirsten Dunst: Rose Gordon
Jesse Plemons: George Burbank
Kodi Smit-McPhee: Peter Gordon
LA RECENSIONE
Western, drama o thriller?
Il film è un western molto diverso da quelli che siamo stati abituati a vedere, tipo quelli di John Ford o Sergio Leone per intenderci, e vira più verso il drama o addirittura il thriller. Da una parte abbiamo Phil (interpretato da un grandioso Cumberbatch), summa di tutti i difetti che un uomo possa avere. Omofobo, rozzo, aggressivo, intollerante, l’uomo si scontra come un ariete contro suo fratello, il mansueto George e porta alla disperazione Rose, facendola addirittura perdere nella depressione e nell’alcol. La sua forte personalità sarà prima “frenata” e poi totalmente ribaltata dall’apparentemente debole Peter (un Kodi Smit-McPhee da Oscar), effeminato, gentile, bersaglio perfetto per Phil, che però deciderà di prenderlo sotto la sua ala protettiva.
L’intento è inizialmente quello di forgiare il giovane, di portarlo sulla sua strada con i suoi metodi, allontanandolo dalla madre e da George, ma invece sarà proprio grazie a Peter – la sua nemesi – che l’armatura di Phil cadrà, rivelando una personalità repressa, tormentata e con emozioni sopite e combattute da sempre. Solo nel bellissimo e inaspettato finale sarà rivelata la vera vittima, chiudendo il cerchio anche attorno al titolo della pellicola. “Il potere del cane”, infatti, fa riferimento al salmo 22:20 che recita così “Libera la mia vita dalla spada e salva l’unica vita mia dall’assalto del cane”.
IN CONCLUSIONE
Una squadra da 12 nomination agli Oscar
La sceneggiatura scritta dalla stessa Campion si attiene molto al libro di Savage, riprendendo in maniera impeccabile i temi principali senza stravolgerli. A rendere epico sul grande schermo questo racconto di vendette, oppressioni, ambiguità, scontri generazionali, rivelazioni e liberazioni ci penseranno l’impressionante fotografia di Ari Wegner, le musiche di Jonny Greenwood e le straordinarie scenografie di Grant Major, tutti candidati ai prossimi Oscar. Staremo a vedere se quella del 27 marzo sarà la sua notte.
Il voto di Cinefily