In occasione del 70° anniversario della nascita dell’indimenticabile Massimo Troisi, il 19 febbraio uscirà nelle sale “Laggiù qualcuno mi ama”, docufilm omaggio al grande artista napoletano, diretto da Mario Martone e scritto dallo stesso regista con Anna Pavignano, compagna di vita e di lavoro di Troisi. Tramite contenuti, documenti inediti e le testimonianze di colleghi e amici, l’opera mira a raccontare la genialità e il mito di Massimo Troisi attraverso l’esclusiva ed eccezionale visione di Martone e della Pavignano.
Uno straordinario viaggio tra i grandi successi e lati inediti di Massimo Troisi
Il rischio di un regista che decide di girare un documentario su un grande artista è sempre lo stesso, e cioè quello di fare una noiosa lista mettendo insieme spezzoni di film come un collage fatto di cose viste e riviste. Invece, Mario Martone con “Laggiù qualcuno mi ama” ha fatto un lavoro meraviglioso, fresco e pieno di emozioni, dall’inizio alla fine. Il regista parte dagli esordi teatrali di Troisi a San Giorgio a Cremano con i suoi amici Lello Arena e Enzo Decaro, coi quali formava il gruppo dei Saraceni, poi diventato La Smorfia, fino al debutto sul grande schermo come regista e attore del cult “Ricomincio da tre”(1981), che ottenne un successo clamoroso. Accanto al clamore riscosso a teatro e a cinema, Martone ci presenta anche una parte intima, molto personale, inedita e interessante, mai banale o scontata e che viene fuori grazie alla partecipazione attiva al progetto di Anna Pavignano. Co-sceneggiatrice e compagna di Troisi nei primi anni della sua breve ma intensissima carriera, la Pavignano ha fornito a Martone degli scritti e del materiale privato dal suo personalissimo archivio dei ricordi che sarà apprezzato enormemente non solo dai suoi estimatori.
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LA RECENSIONE
Il paragone con Truffaut e Chaplin
Martone ci mostra spezzoni di “Ricomincio da tre”; “Splendor”, di Ettore Scola, che ci fa immediatamente paragonare – come più volte è stato fatto in passato – l’opera e il pensiero artistico di Massimo Troisi a quelle di Francois Truffaut e a Charlie Chaplin. Il suo sentimentalismo dolce, fragile e goffo; la sua poetica dell’amore puro, romanticamente tormentato, la sua voce inconfondibile, la sua verve comica sempre all’avanguardia, moderna, fresca e che innesca non solo risate ma anche spunti di riflessione molto profondi nonché un filo di malinconia smorzato dalla napoletanità che ha sempre difeso e ostentato con fierezza come uno stendardo. Queste sono le caratteristiche che l’hanno reso immortale. Martone ce lo ricorda come un autore imprescindibile del nostro cinema, regista di film bellissimi come “Scusate il ritardo”(1983), “Non ci resta che piangere”(1984), “Le vie del Signore sono finite”(1987), “Pensavo fosse amore…invece era un calesse”(1991) e lo fa facendo leggere i suoi scritti da “ospiti” illustri come Francesco Piccolo, Paolo Sorrentino, Federico Chiacchiari, Ficarra e Picone e tanti altri che sono stati influenzati da Troisi o che sono semplici ammiratori proprio come noi.
“Il postino”, il suo cult indimenticabile
La sua passione, la sua dedizione e anche la sua testardaggine lo hanno portato a lavorare fino agli ultimi giorni della sua breve vita. Tutti sanno, infatti, che il giorno prima di morire (a soli 41 anni) aveva finito di girare il suo ultimo film, “Il postino”(1994), che avrebbe ottenuto ben 5 nomination agli Oscar – miglior film, miglior attore protagonista (Massimo Troisi), miglior regia (Michael Radford), miglior sceneggiatura non originale e miglior colonna sonora – portando a casa solo quello alla colonna sonora. Ma poco importa, perché la sua stella non smetterà mai di brillare.
Martone, durante un’intervista, lo ha ricordato con queste parole: “Con Massimo era nata un’amicizia fondata su una grande stima reciproca, adoravo il suo cinema, vagheggiavamo di lavorare insieme. La possibilità che mi viene offerta di fare un film documentario in cui il pubblico lo possa ritrovare oggi sul grande schermo è quindi qualcosa di speciale per me, posso tornare a dialogare con lui, ascoltarlo e portarlo agli spettatori di ieri e a quelli di oggi, che sono tantissimi. Massimo è sempre rimasto vivo nell’immaginario collettivo, perché era una grande anima e un grande artista.”
E noi possiamo ampiamente dire che ci è riuscito alla grande.
Il voto di Cinefily